Salviamo gli oranghi del Borneo: via l’olio di palma dal gasolio. Basta con i sussidi a chi distrugge le foreste. Firma per cambiare la legge.
Nel gasolio venduto ai distributori (lo chiamano biodiesel) c’è olio di palma. La maggior parte dell’olio di palma importato in Europa, e più recentemente anche l’olio di soia, finisce nel biodiesel. Per coltivare e produrre sempre più palma e soia si deve deforestare: le coltivazioni sorgono dove una volta c’erano torbiere o foreste umide tropicali nel Borneo, in Amazzonia e in Africa.
A finanziare la deforestazione, siamo noi, inconsapevolmente, ad ogni pieno di gasolio.
La legge italiana riconosce questi olii alimentari, causa di deforestazione, come carburanti ‘rinnovabili’. E li sussidia. Così senza saperlo, paghiamo per distruggere le foreste del Borneo, sterminare la fauna (anche popolazioni di primati incredibili come gli oranghi) e distruggere le comunità indigene che popolano le foreste.
Ecco perché la legge va cambiata.
A Giugno l’Europa ha dichiarato insostenibile l’olio di palma per i carburanti. L’Italia deve adeguarsi subito ma può fare di più e includere l’olio di soia, causa di deforestazione drammatica in America Latina.
Ferma i sussidi alle piantagioni che distruggono le foreste
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Lettera al Governo italiano
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte,
e ai Ministri dell’Ambiente Sergio Costa, dei Trasporti Paola De Micheli, dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli
Chiediamo al governo di non considerare più l’olio di palma e di soia e i loro derivati (acidi grassi prodotti dalla lavorazione dell’olio di palma), come biocarburanti (biodiesel), per i quali vige l’obbligo di immissione al consumo e relativo sussidio, a partire dal 1 gennaio 2021 per permettere modifiche impiantistiche e smaltimento delle scorte.
L’aumento del consumo di olio di palma e di soia è tra le cause primarie di deforestazione, perdita di biodiversità e cambiamento climatico: le coltivazioni sorgono dove una volta c’erano torbiere o foreste umide tropicali: nel Borneo, in Amazzonia e in Africa. Ad affermarlo sono gli atti e gli studi della Commissione Europea (vedi il Regolamento delegato 2055/2019 del 13 marzo 2019 , il Report Globion e dal recente Rapporto IPCC (scienziati ONU sul cambiamento climativo). A causa della distruzione forestale, la combustione di un litro di olio di palma provoca il triplo delle emissioni di CO2 del gasolio, uno di olio di soia, il doppio. Per coltivare nuovo olio di palma si sottrae il 45% del terreno a foreste vergini, il 9% per la soia. e il 9% per la soia Se l’Amazzonia va in fiamme è anche nostra responsabilità.
A sussidiare o, se si vuole, a finanziare la deforestazione, siamo noi, inconsapevolmente, ad ogni pieno di gasolio o benzina. Per legge infatti, i distributori di carburante devono aggiungere una certa quantità di “bio”. A pagarne il prezzo è però l’acquirente finale. Secondo le valutazioni ufficiali (GSE) si tratterebbe di 600 milioni all’anno, in media 16 euro per ognuna delle 38 milioni di auto in circolazione. Così, senza chiederci un parere, per legge paghiamo per distruggere foreste, sterminare specie vegetali e animali (primati come gli oranghi), dilaniare le comunità indigene che popolano le ultime foreste vergini del pianeta. Patrimonio di tutti e delle generazioni future.
A Giugno l’Europa ha dichiarato INSOSTENIBILE l’olio di palma per i carburanti. L’Italia deve adeguarsi subito, ma può fare di più e includere l’olio di soia, causa di deforestazione drammatica in America Latina, tra gli olii vegetali che NON sono considerati rinnovabili.
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